In che cosa la Pratica Collaborativa si distingue dalla Trattativa tradizionale?

Seconda parte

Continuiamo a conoscere la PRATICA COLLABORATIVA, una nuova modalità in cui avvocati, psicologi e commercialisti collaborano per accompagnare la coppia a trovare gli accordi di separazione nel rispetto delle esigenze di tutti i componenti della famiglia: mamma-papà e figli.

 

Dopo una prima presentazione in "La Pratica Collaborativa: una modalità alternativa di risoluzione stragiudiziale delle crisi familiare", le avvocatesse Cracco e Fedrigoni spiegano quali sono le differenze rispetto alla Trattativa tradizionale.

 

Molti avvocati che da anni affrontano le controversie familiari con spirito conciliativo e in un’ottica multidisciplinare, quando sentono parlare della Pratica Collaborativa, esclamano “Io la pratico da sempre” non rendendosi conto che si tratta di tutt’altro dalla trattativa tradizionale stragiudiziale, pur quando quest’ultima sia condotta in modo eccellente.

 

La trattativa tradizionale è lasciata alla discrezionalità, alla personalità e allo stile di ciascun professionista, non trattandosi di procedura strutturata che deve seguire precise fasi condivise, per le quali siano previste regole, obblighi, sanzioni. Osservati i generici principi deontologici validi in via del tutto generale ogni avvocato si regola, come crede meglio, dedicando alla trattativa stragiudiziale preliminare al deposito di un ricorso in via contenziosa, poco/tanto tempo, poco/molto impegno, coinvolgendo niente/poco/tanto il cliente, anche considerando il tipo di collega che avrà di fronte.

In secondo luogo, nella gestione tradizionale dell’attività stragiudiziale i colleghi che si ritroveranno ad assistere le due parti non avranno necessariamente alcun background formativo comune né una condivisione di approccio al diritto di famiglia.

In terzo luogo, i veri protagonisti di una trattativa tradizionale stragiudiziale sono sempre gli avvocati; trattativa tradizionale ha come parametro di riferimento, per avanzare, accettare o rifiutare proposte, quella che sarebbe la soluzione più probabile data dal giudice nell’eventuale giudizio contenzioso.

 

Senza nulla voler togliere al valore delle trattative stragiudiziali che ciascuno di noi ogni giorno pazientemente avvia, coltiva e conclude, spesso raggiungendo ottimi e stabili accordi, la procedura Collaborativa è modalità completamente diversa.

 

Si tratta di una procedura strutturata non lasciata all’improvvisazione degli avvocati che, insieme alle parti e agli altri professionisti del team, dovranno attenersi a precisi obblighi e all’osservanza di regole nel passaggio, regolato, da una fase all’altra della procedura.

 

Nell’ambito di una procedura Collaborativa vi è la garanzia che tutti i professionisti del team siano formati a tale pratica e ne condividano lo spirito, lo scopo e i metodi, e che siano tutti vincolati all’osservanza dei medesimi obblighi, compreso quello di pretendere dal proprio cliente rispetto degli impegni sottoscritti con l’Accordo di Partecipazione.

 

Le parti parteciperanno attivamente ad ogni fase della procedura essendo della stessa i veri protagonisti e la comunicazione nell’ambito di una procedura collaborativa sarà sempre circolare, di tutti nei confronti di tutti gli altri.

 

La negoziazione avverrà sulla base degli interessi delle parti, emotivi/relazionali (paure, ansie), materiali (sicurezza economica, sicurezza abitativa ecc.) e procedurali.

 

La soluzione risponderà agli interessi di tutti e non sarà necessariamente quella prevedibile secondo la giurisprudenza consolidata, se a decidere dovesse essere un giudice.

 

Infine la presenza del team prevede, oltre alla presenza degli avvocati, anche quella dello psicologo esperto delle relazioni (coach) e, quando necessario, l’intervento dello specialista del bambino (psicologo infantile, neuropsichiatra infantile) ed del commercialista, affinché ciascuno dei professionisti intervenga al momento giusto secondo la sua area di competenza evitando inutili perdite di tempo e il cronicizzarsi di momenti d’ impasse ed evitando che ciascuno assuma ruoli che non gli competono.

 

In particolare, la presenza dell’esperto delle relazioni familiari (coach) garantisce che la comunicazione non solo fra le parti ma anche fra i professionisti e fra questi con le parti avvenga nel modo più funzionale alla reale comprensione reciproca e al perseguimento dello scopo della procedura.

In buona sostanza è proprio questo contenitore strutturato del conflitto familiare ad essere la miglior garanzia del buon risultato, se tutte le regole vengono rigorosamente rispettate. Al termine di una procedura Collaborativa l’esperienza vissuta direttamente dalle parti durante il percorso sarà importante quanto il risultato dalle stesse raggiunto e rappresenterà una risorsa preziosa per risolvere altri possibili futuri conflitti.

 

Avv.to Lorenza Cracco                Avv.to Clarissa Fedrigoni

 

Articolo tratto dalla Relazione "La Pratica Collaborativa" redatta dall' avv. Carla Marcucci, Presidente dell'Associazione Italiana Professionisti Collaborativi, presentata al Consiglio Direttivo Nazionale dell'AIAF nel luglio 2013 e pubblicaya sul sito AIADC, Associazione Italiana Professionisti Collaborativi

 

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