Aggressività come espressione di sviluppo o disfunzione emozionale?

Il comportamento aggressivo dei bambini suscita spesso profondo disagio nei genitori, soprattutto quando si manifesta nelle forme più primitive quali ad esempio morsicare o colpire qualcuno con aria minacciosa e cattiva.

Anche altri comportamenti, apparentemente aggressivi, ma in realtà semplicemente competitivi o diversamente volti ad affermare il proprio posto nel mondo, talvolta inquietano gli adulti evocando timori di futura violenza, rendendoli altresì perplessi rispetto alle misure educative più efficaci da adottare in queste situazioni.

 

L’aggressività infantile o ciò che definiamo tale evoca emozioni profonde, veicolando in alcune persone la paura di entrare in contatto con l’aggressività emergente all’interno di sé o facendo risalire alla memoria piccole e grandi violenze subite in passato oppure ancora sviluppando il timore di essere giudicati come genitori incompetenti sotto il profilo educativo.

 

Si ricorda infine che l’atteggiamento di ciascuno di noi di fronte all’aggressività e alla violenza è segnato da valori etici, ideologici ed educativi ampiamente radicati e pertanto piuttosto difficili da mettere in discussione e da riconoscere come problemi la cui soluzione non sia ovvia ed unanime.

 

Ma come intervenire? Quando? C’è davvero motivo per cui preoccuparsi?

 

Certamente il problema del contenimento dell'aggressività è strettamente legato a quello dei "limiti" da porre al bambini nel corso della loro crescita.

 

Respinta la posizione autoritaria, troppe volte trasformata in una sorta di permissivismo deresponsabilizzante, ecco che i genitori e gli educatori chiedono indicazioni su come e quando controllare, intervenire, stabilire delle regole.


Le domande che affiorano rispetto al tema dell’aggressività presente nei bambini rimandano l’idea di una spinta evolutiva che non sempre appare chiaramente connessa al motore dello sviluppo, risultando bensì alle volte di natura confusa e disadattiva.

Il concetto di aggressività richiama il significato etimologico del termine ad gradior, procedo verso, contro.

In questo senso il moto aggressivo, primariamente legato alla motilità e all’esplorazione dell’ambiente, può evolvere solo attraverso una relazione avviata con dei partner affettivamente soddisfacenti.

 

Può succedere però che l’aggressività del bambino venga agita in maniera caotica ed incontrollabile, ma in questo caso allora è maggiormente appropriato parlare di rabbia distruttiva.


I problemi insorgono qualora questo stesso bambino incontra un ambiente vuoto e non sufficientemente responsivo, ovvero in grado di controbilanciare la pressione emotiva espressa tramite la violenza verbale o comportamentale.

Rimanendo privo di un interlocutore efficace, che non resiste agli urti, incapace di sopravvivere ad una serie di attacchi collerici magari ripetuti nel tempo, la sua rabbia aumenterà fintanto che non incontrerà un caregiver capace di svolgere una funzione di contenimento proporzionale alle circostanze.

 

Ma come si declina questa funzione di contenimento?

 

Certamente una mamma o un papà disposto ad accettare di riconoscere l’aggressività del proprio figlio gli permette di entrare direttamente in contatto con tale sentimento, invece di scaricarlo continuamente all’esterno di sé ma intanto, nell’assumere un ruolo limitante, lavora insieme a lui per la costruzione di nuove soluzioni.


Mentre è certamente inevitabile che nel caso in cui un genitore reagisce con un’aggressività di pari intensità e perciò interviene esclusivamente con la punizione, sollecita l’idea di un mondo cattivo dove tutto si disfa e si distrugge.


Però anche un padre e una madre che consentono al figlio di esprimere la rabbia in qualsiasi modo, senza mai abbassare la soglia di eccitamento, senza tracciare un confine, alterano la visione del mondo in quanto esso non sopravvive ai suoi attacchi furiosi e distruttivi. E allora ogni fantasia aggressiva rischia di diventare pericolosa nella misura in cui appunto non rimane tale ma riesce ad incidere sulla realtà, a determinare delle conseguenze. 

Un bambino piccolo, non distinguendo tra fantasia e realtà, ha bisogno di incontrare persone che lo aiutino a regolare questa componente emotiva senza però rinunciare al lavoro di differenziazione psichica intrapreso nel periodo della prima infanzia.

 

In definitiva,ciascun bambino che provoca l'adulto, è in cerca di un "oggetto" flessibile ma resistente, una presenza viva che gli offra uno spazio potenziale dove diventa progressivamente possibile utilizzare l'aggressività come movimento di opposizione anzichè di distruzione.

 

Dott.ssa Rossana Dalla Stella 

 

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