Il pianto del neonato

 

I primi mesi di vita di un neonato costituiscono un momento fondamentale nel rapporto tra genitori e figlio. Mamma e papà vivono intense emozioni di grande gioia ma anche di forti preoccupazioni, e realizzano quanto sia difficile il loro compito di riuscire a conoscere e capire i propri figli e agire per il loro bene. Una delle prime manifestazioni del neonato che può mettere in difficoltà, sia i neogenitori sia genitori che hanno già avuto altri figli, è il pianto.

 

Ed è per questo che la domanda più frequente tra i genitori di bimbi molto piccoli è: cosa devo FARE quando il piccolo piange?

Parecchi studi dimostrano come il pianto del bambino produca nell’essere umano che l’ascolta una serie di reazioni fisiologiche ben definite come l’aumento del battito cardiaco e del livello ormonale che generano nell’ascoltatore una spinta all’azione e mantengono un elevato livello di attenzione. Sembra quindi che noi genitori siamo biologicamente determinati ad attivarci a fare qualcosa per il nostro piccolo.

 

La prima cosa da fare è avvicinarci al neonato per dargli attenzione, ascoltare il suo pianto e osservare il suo corpo, le sue espressioni, i suoi movimenti. Il neonato non piange mai senza un motivo, non lo fa apposta o per farci un dispetto.

Nel momento del pianto le percezioni e le sensazioni del corpo diventano per il bambino piccolo esperienze su cui si fonda lo sviluppo della sua mente, ciò significa che il dolore fisico è vissuto come un dolore mentale. 

Il bambino necessita quindi di vicinanza e sostegno in situazioni psico-fisiche non tollerabili dalla sua mente perché non è ancora in grado di comprendere e spiegare cosa sta succedendo. 

Quando il bambino piange viene spontaneo prenderlo in braccio e in effetti l’essere contenuto tra le braccia della madre, sentire il suo odore, udire la sua voce calma e magari succhiare il seno o il biberon sono di aiuto al piccolo. Percepire di non essere solo e che il proprio pianto è stato un’efficace comunicazione rafforza il legame genitore-figlio e le abilità del bambino a trasmettere i propri bisogni. 

 

La seconda cosa da fare è cercare di capire: Cosa mi sta comunicando?

Il pianto fa sentire ai genitori il vissuto di sofferenza e di disagio che il bambino sta provando di fronte a un bisogno che il piccolo inizialmente non sa identificare, ma che noi adulti dobbiamo provare a capire.

Il pianto trasmette vari bisogni urgenti del neonato (il cibo, il dolore per qualche malessere fisico, il freddo, la stanchezza, il disagio per il pannolino bagnato o sporco), il timore per forti stimoli o rumori improvvisi, ma anche l’importante bisogno di relazione (desiderio di contatto fisico, dialogo, tenerezza). 

Studi clinici dimostrano che a volte il pianto angosciato dei piccolini ci comunica la nostalgia per l’ambiente uterino, ci esprime il bisogno che nei primi tempi possa esserci un ambiente protetto in cui possa ritrovare le sensazioni che provava come feto (calore, dondolii, rumori ovattati, morbidezza, rumori ritmici). 

 

È giusto anche domandarsi: Cosa sta provando?

La mamma, oltre a interpretare le sensazioni e i bisogni fisiologici del proprio bimbo, comprende e spiega anche le emozioni avviandolo ad un’alfabetizzazione delle emozioni, dando così un nome a ciò che prova (paura, angoscia, rabbia...).

 

Ci possiamo anche chiedere: Bisogna capire sempre?

Pur con tutta la buona volontà non riusciremo sempre a comprendere ciò che ci sta comunicando il bambino, in questo modo però imparerà anche a tollerare qualche piccola frustrazione. Può essere utile procedere per tentativi ed errori, facendoci guidare dalla sensibilità e dall’osservazione perché ogni bambino è diverso dagli altri, e già alla nascita si possono identificare temperamenti diversi: bambini più docili e facilmente consolabili e bambini maggiormente irritabili.

 

Infine: Se non si riesce a calmare cosa faccio?

Spesso non è facile comprendere il motivo del pianto e per i genitori è difficile tollerare il disagio del figlio che a volte può durare anche molto tempo. Non riuscire a calmare il proprio bambino fa agitare, ci mette ansia e l’ansia talvolta è una cattiva consigliera. La stanchezza dei primi mesi certo non aiuta a pensare e a essere in empatia con il bimbo.

E’ necessario mantenere la calma o farsi aiutare da qualcuno come il papà o un parente o un’amica vicina di cui vi fidate. Contattare e far visita al proprio pediatra può essere utile e rassicurante per escludere delle patologie e valutare che il vostro bimbo sia in buona salute. Se il vostro bambino sta fisicamente bene ed è difficile calmarlo potete rivolgervi a un esperto dell’infanzia, insieme potrete osservare e pensare come aiutarlo in modo da recuperare il benessere vostro e del bambino.

 

Dott.ssa Alessandra Malaman

 

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