Esistono ricordi di quando si era bambini che rimangono per sempre. Una signora non più giovane rievocava in un colloquio i momenti in cui la madre la portava a visitare dalla pediatra: mentre mamma e dottoressa parlavano della sua salute lei veniva svestita da un’infermiera dalle mani ruvide e dall’odore sgradevole. Ancora oggi ricordava le sensazioni di solitudine, impotenza e disappunto di quel momento in cui la madre non le era accanto.
In realtà i bambini affrontano il proprio pediatra in modi differenti: ci sono bambini timorosi o addirittura terrorizzati ed altri sereni e fiduciosi. Osserveremo così bambini anche molto piccoli spaventati e preoccupati, che s’irrigidiscono o piangono angosciati, ma anche bambini che sono interessati, disponibili e collaborativi alla visita.
Oggi i pediatri sanno che è importante creare una relazione diretta con il bambino e che i genitori stiano sempre accanto ai loro bambini, che sia la mamma a togliere i vestiti al bambino, in modo che non venga messo a nudo da mani estranee. I bambini si affidano, ascoltano e collaborano con il pediatra che li rende partecipi.
Come incoraggiare il piccolo a fidarsi?
La visita pediatrica costituisce per il bambino una situazione in cui lui è il protagonista che viene manipolato, toccato, osservato e scrutato da persone sconosciute o poco familiari. I bambini, soprattutto piccoli, necessitano della presenza fisica del genitore attraverso il contatto visivo e l’essere presi in braccio, ma anche della presenza emotiva che li accompagni durante le visite. E’ importante che il genitore spieghi al bambino, con semplici parole, i motivi dell’incontro, che gli descriva che cosa farà il medico e gli strumenti che utilizzerà.
Può capitare però che il motivo della visita sia urgente come quelle al pronto soccorso pediatrico, e che il bambino si trovi in uno stato di malessere e provi dolore.
Recentemente mi è capitato di osservare la sala d’attesa di un pronto soccorso e di constatare che i bambini malati e sofferenti di tutte le età, compresi i ragazzi, abbiano bisogno di sentire il contatto corporeo con il genitore, di stare in braccio o essere seduti attaccati. Il contatto fisico con il genitore permette di non sentirsi soli in un momento di sofferenza e paura, di contenere sia il dolore fisico che quello mentale.
I bambini si preoccupano e si spaventano nel fare esperienza sul proprio corpo di certi sintomi di malessere come possono essere il mal di pancia o il vomito. Esperienze di dolore più intenso come quello di una ferita o il dover affrontare cure come iniezioni, prelievi o addirittura interventi chirurgici, che sono enormemente invasivi, possono diventare esperienze traumatiche.
Nei neonati l’esperienza della sofferenza fisica può diventare sofferenza mentale in quanto agli inizi della vita corpo e mente sono strettamente correlati ed i bisogni e le sensazioni corporee costituiscono le prime esperienze che danno vita alla mente del bambino. Il piccolino percepisce sensazioni corporee delle quali non riesce a capirne la causa né a controllare, semplicemente le vive. Con lo sviluppo della mente e il supporto dei genitori riuscirà a prevederne la durata, l’andamento dell’intensità e a sperare che il dolore abbia un termine.
A due anni circa i bambini utilizzano il linguaggio e il gioco come strumenti necessari per poter condividere, descrivere e rappresentare l’esperienza del dolore con i genitori, per capire che il dolore diminuirà con il tempo e con le cure adeguate.
Al bambino va sempre offerta la possibilità di comprendere con semplici spiegazioni il motivo dell’intervento, della visita, le procedure, e gli esiti che dovrà affrontare. In un secondo momento bisogna dare al bambino il tempo e la disponibilità all’ascolto delle domande, dei pensieri, delle emozioni e delle fantasie attraverso il dialogo ma anche con il gioco e il disegno.
Sarà utile farsi aiutare dal medico a capire cosa succederà, motivo per cui in certi ospedali ci sono anche dei servizi di preparazione psicologica all’intervento chirurgico.
Durante le consultazioni e le terapie dei bambini che ho conosciuto, ho potuto vedere come gli stessi ricordino le situazioni che hanno sperimentato in prima persona negli ambulatori medici o all’ospedale e spesso le mettano in scena nel gioco impersonando il medico o il paziente, facendo vivere ai pupazzetti o alle bambole i loro vissuti.
Aver affiancato genitori e bambini durante questi giochi mi ha permesso di osservare quanto sia importante per il bambino “rimaneggiare”, comprendere e rielaborare nel tempo questi avvenimenti dolorosi assieme ai genitori. Quando il dolore passa anche l’apprensione e l’ansia dei genitori diminuisce o svanisce permettendo loro di riconoscere maggiormente le emozioni e le sensazioni dei figli e di condividerle.