Riflessioni sulla paternità. "Cosa accade nella testa di un neo-papà?"
Uno dei temi oggi sempre più centrale, e nel contempo oggetto di tante riflessioni, confronti e critiche, è quello del significato dell’essere un buon padre.
Questa serie di newsletter vuole essere uno stimolo per iniziare una condivisione sulla riflessione e un approfondimento degli argomenti legati a questo tema.
In un periodo storico di cambiamenti a cavallo di epoche con diversi modelli di riferimento (con l’auspicio che il processo porti verso una trasformazione evolutiva piuttosto che una riforma dettata dalle paure e dall’esigenza di proporre modelli prefabbricati, molto spesso involutivi) l’esser padre sembra diventato un compito sempre più difficile, se non altro per la confusione e l’indeterminatezza in cui questa figura sembra muoversi.
Come si fa a parlare di neo-papà quando oggi sembra ci si debba prima di tutto occupare del ri-definire tanti aspetti del significato dell’essere padre? (essere padre, essere uomo, essere compagno, essere figlio. E ancora: livello intrapsichico, biologico-genetico, sociale, culturale…). L'argomento è molto vasto.
Il vertice che sceglierò per iniziare la riflessione è quello dell’“esperienza”, intesa come: “Conoscenza diretta, personalmente acquisita con l’osservazione, l’uso o la pratica, di una determinata sfera della realtà” (Treccani).
In particolare, in questo caso l’esperienza a cui faccio riferimento è quella che nel lavoro come psicoterapeuti viviamo durante la conduzione di gruppi esperienziali rivolti ai neo-papà tenuti nelle Aziende Sanitarie Locali di alcune città della Toscana (★). Questi incontri di scambio e riflessione, che non sono corsi, sono nati come risposta al poco spazio percepito dai papà duranti i Corsi di Preparazione al Parto offerti dal Servizio Pubblico e dal settore privato.
Il neo-papà, tra le diverse funzioni che svolge dal punto di vista psicologico si prende carico o dovrebbe farlo, di una serie di sentimenti, preoccupazioni e ansie che la madre “proietta” dentro di lui per potersene liberare e concentrarsi su altri aspetti di ciò che accade dentro di lei, nel rapporto con la nuova vita che cresce dentro di lei.
In questa newsletter mi soffermerò sul comune vissuto di molti neo-papà nei primissimi mesi di gravidanza, quando nei gruppi si confrontano sulle alternanze degli stati d'animo nella coppia, che vanno dai momenti di grande gioia a quelli molto pesanti e frustranti, in cui raccontano di dover sopportare gli "sbalzi di umore" della compagna o le situazioni in cui sono proprio intrattabili e non c'è modo di ragionare con loro.
In quei momenti sembra che l’unico scopo della compagna sia di farli sentire inutili, incapaci e fuori luogo. Sappiamo che questi sbalzi di umore avvengono a causa dei cambiamenti fisiologici che prendono luogo nella donna.
Quello su cui però ci interessa riflettere è cosa accade nella dinamica della coppia da un punto di vista psicologico.
In queste situazioni i neo-papà vengono “spinti” dalla compagna a confrontarsi con una serie di frustrazioni e ansie che hanno a che fare con i sentimenti di esclusione, di estraneità, di incapacità, di impotenza, ecc.
Molti papà raccontano di situazioni in cui si sentono essi stessi trattati come bambini, riportando anche tutta una serie di pensieri e vissuti legati al proprio passato di figlio che in qualche modo “rinascono” dentro di lui (i neo-papà spesso dicono: “dottore è incredibile, mi ha fatto sentire stupido come se fossi un bambino che non capisce!”).
I neo-papà hanno reazioni diverse a queste particolari situazioni in base al proprio “stile” o “carattere” e a quanta stanchezza (mentale e fisica) sono sottoposti.
Le esperienze raccontate dai “futuri papà” variano da individuo a individuo e cambiano nella stessa persona in momenti diversi: a volte “resistono”, comprendono lo stato della compagna e le stanno vicino sostenendola “nonostante tutto”; altre volte “tengono dentro tutto” ma si allontanano dalla compagna, semmai si sfogano e cercano comprensione in/con altri; in altri casi, cercano di “ricacciare” questi vissuti proprio nella compagna, trattandola male o direttamente litigando e scaricando su di lei la propria rabbia (“perché è stata lei a farmi stare così!”), fino ad arrivare ai casi limite dove si presenta una violenza fisica.
E’ difficile comprendere, soprattutto all’inizio, che ciò che sta accadendo in questa particolare dinamica tra una “quasi-madre” e un “quasi-padre” “in formazione” è in realtà una cosa speciale.
In quei momenti, infatti, viene chiesto al papà di “allenarsi” a tenere dentro di Sé quelle sensazioni stancanti e stressanti legate ai cambiamenti che, a diversi livelli, stanno avvenendo nella neo-mamma e che lei non sopporta.
In atre parole, proprio per la particolare natura di questi sentimenti può capitare, anzi spesso capita, che alcuni di essi siano così difficili da sopportare dalla mamma in fieri che vengono proiettati (“consegnati”) alle persone che le stanno vicine e che sono emotivamente più significative, in primis al compagno.
A lui, perciò, spetta di avere a che fare con quella parte dei vissuti che la donna percepisce come difficilmente pensabili, o proprio impensabili, assegnatigli affinché li provi anche, o solo, lui.
Una sorta di condivisione “forzata”, in cui viene chiesto al futuro papà di fare un allenamento speciale.
Nel sopportare e contenere dentro di sé quei particolari stati d’animo egli potrà sviluppare le proprie capacità emotive di contenimento e “sopportazione”, che sono alla base dei processi di pensiero che precedono e danno la possibilità di comprendere ciò che si prova in un determinato momento.
Un esercizio che sarà fondamentale anche per la futura tenuta emotiva della coppia genitoriale e per lo sviluppo emotivo del bambino.
Questa “ginnastica mentale” spesso porta i papà a spostare il vissuto provato da un livello emotivo verso un livello più concreto, individuando delle soluzioni a problemi che sono diventati pratici e più “maneggiabili”.
A volte, soprattutto all’inizio e/o nei momenti di maggiore stanchezza, i futuri papà cercano di “tirar via” concretamente quello che sentono dentro (“dottore, dopo la litigata mi sono sentito così male che ho preferito andar via e mi sono messo a tirare calci al pallone in giardino!”).
Gli eccessi di tensione che non riescono a essere “mentalizzati” (a essere contenuti nella mente ed senza il passaggio a un’azione concreta), possono avere come conseguenza l’esigenza e la richiesta di avere più spazi per se’ in cui “sfogarsi” o ritrovarsi (dallo sport, ai videogiochi, alle uscite con gli amici, fino ad arrivare a situazioni più limite che vedono il tradimento della compagna).
Un allenamento che però è necessario e potrà essere utilizzato dal quasi papà, in un futuro neanche tanto lontano, quando dovrà essere capace di gestire le situazioni in cui dovrà “difendere” la diade madre-bambino non solo da situazioni concrete esterne alla diade ma dal loro sentirsi soli, isolati, incompresi e abbandonati.
E poi, ancora, quando dovrà aiutare la madre e il bambino ad accettare di essere divisi l’una dall’altro, a partire dal momento in cui il piccolo man mano che cresce inizierà ad allontanarsi dal seno materno (e dalla mamma percepita sempre più come presenza reale e non più simbiotica, come tutt’uno con se stesso) nel normale step evolutivo di crescita individuale (della sua mente e del suo corpo).
Nel normale processo di separazione dalla madre e crescita verso l’autonomia, il bambino affronterà momenti importanti in cui potrà sentire il papà come un riferimento stabile a cui “appoggiarsi” o “tenersi” quando dovrà attraversare momenti emotivamente penosi o difficili.
Affidandosi all’idea della presenza di un papà sufficientemente “forte” nel suo mondo interno potrà sentire di attraversare i momenti di angoscia e sconforto rimanendo integro, superando la paura o il terrore di andare in pezzi o disintegrarsi.
A sua volta il papà, avendone già fatta esperienza e potendo immaginare cosa il figlio sta provando e/o proverà, potrà essere capace di essere un “contenitore emotivo” sufficientemente protettivo e robusto, dentro il quale il figlio potrà far avanzare le esperienze emotive necessarie alla crescita, sostenendolo e guidandolo nel suo processo di comprensione e crescita verso l’autonomia, il sentirsi individuo. (Senza esserne egli stesso spaventato).
Ritorniamo perciò alla domanda che ci siamo posti prima: come possiamo definire oggi questi neo-papà?
Molto spesso le risposte alla riflessione fornite direttamente dai papà, in modo direi statisticamente significativo e spazzando apparentemente via tutte le possibili riflessioni, appartengono ad un incredibile livello di concretezza.
I neo-papà davanti alle richieste di riflettere sul significato del diventare padre, portano risposte particolarmente concrete (“Adesso dovrò vendere la moto”, “Ce la farò a guadagnare abbastanza?”, “Devo pensare alla stanza nuova”, “Potrò continuare a giocare a tennis? A calcetto? E gli amici?”.)
Immagino a questo punto alcuni commenti: “Te lo dicevo! L’uomo non è capace di riflettere…” (ghigno di esultanza delle mamme).
Chissà…forse invece possiamo tutti immaginare con maggior chiarezza il perché sembra che non lo facciano…e forse potremmo suggerire ai neo-papà di “allenarsi” con maggiore “vigore” e consapevolezza al loro nuovo ruolo per avere un giovamento in futuro per tutta la famiglia.
Dott. Danilo Messina

★ Nota:
Questi spazi, in modo molto lungimirante, sono stati attivati dalle Unità di Psicologia nel Servizio Pubblico di Firenze, Lucca e Pisa per venire incontro alla sempre più crescente domanda da parte delle coppie “in attesa” di poter disporre di momenti dedicati esclusivamente ai neo-papà.
Questi incontri sono dei momenti in cui i partecipanti possono liberamente portare i propri pensieri e le proprie idee riguardo ai sentimenti, alle emozioni, alle angosce, alle paure, alle preoccupazioni alle speranze e alle attese che accompagnano un uomo nel divenire padre, un passaggio fondamentale della storia di ognuno nel momento in cui si prova a dare inizio a una vita nuova.